Post by ADPUFPost by ADPUFIl giorno giovedì 7 dicembre 2017 09:59:54 UTC+1, Luigino
On Wed, 6 Dec 2017 11:14:18 -0800 (PST),
Mi sembrava che fosse una faccia conosciuta, ma non
immaginavo per questo.
Marrazzo lo han preso in via Gradoli coi pantaloni giu' e
dei trans.
Ricattato da carabigneri criminali finiti al gabbio.
http://roma.repubblica.it/cronaca/2010/04/19/news/marrazzo_cassazione-3459541/
L'ex governatore del Lazio Piero Marrazzo fu "chiaramente la
vittima predestinata" di una "imboscata organizzata ai suoi
danni" da alcuni carabinieri della Compagnia di Roma Trionfale
e nei suoi confronti non è ravvisabile alcuna responsabilità
penale né per quanto riguarda l'uso dell'auto blu, per
raggiungere l'appartamento di di via Gradoli per incontrare la
trans Natalì, né per quanto riguarda l'eventuale utilizzo di
cocaina. Lo sottolinea la Cassazione affrontando per la prima
volta il 'caso Marrazzo' con la sentenza 15082, depositata
oggi, nella quale si conferma la gravità delle accuse a carico
dei carabinieri coinvolti nella vicenda, confermando le misure
cautelari nei confronti dei militari e indicando anche un
ruolo più grave nei confronti del maresciallo Nicola Testini.
Marrazzo: "Io ero la vittima in questa vicenda".
L'assoluzione di Marrazzo. In particolare, per quanto concerne
la posizione di Marrazzo nell'ambito della vicenda che lo ha
portato alle dimissioni dopo essere stato sorpreso e filmato
da alcuni carabinieri insieme al trans Natalì,
anche con una dose di cocaina, la Suprema Corte - respingendo i
tentativi dei difensori dei carabinieri di gettare discredito
sulle dichiarazioni dell'ex governatore - rileva che "nei
confronti di Marrazzo nulla autorizza ad ipotizzare condotte
delittuose, essendo egli chiaramente la vittima predestinata
di quella che è stata considerata come un'imboscata
organizzata ai suoi danni".
PARLA L'EX GOVERNATORE: "Io, vittima e testimone"
Aggiunge la Cassazione che nemmeno la presenza della cocaina in
casa di Natalie può condurre "a diverse conclusioni". E ciò
non solo perché in base ai risultati delle indagini la
presenza della cocaina "è stata attribuita proprio agli
indagati, che miravano evidentemente a rendere più gravosa la
posizione del Marrazzo per renderlo più vulnerabile e pronto a
subire qualsiasi ricatto, ma anche perchè, se pure la droga
l'avesse portata l'ex governatore, nessuna conseguenza di
natura penale avrebbe potuto derivargliene, trattandosi di
droga chiaramente destinata al consumo personale".
Inoltre, sottolineano i giudici, è "ugualmente irrilevante,
sotto il profilo penale, l'uso, da parte dello stesso
Marrazzo, dell'auto di servizio per raggiungere l'abitazione
di via Gradoli, dal momento che di questa auto l'ex presidente
della Regione Lazio era autorizzato a servirsi". Del
tutto "pretestuose" - chiariscono ancora i giudici - sono "le
altre 'accuse' rivolte al Marrazzo dagli indagati, strumentali
all'esigenza di farne emergere l'inesistente posizione di
soggetto indagato, come il riferimento ad una 'falsa' denuncia
di smarrimento degli assegni". Il riferimento è ai tre
assegni, per un totale di 20 mila euro 'estorti a Marrazzo'
dai carabinieri Luciano Simeone e Carlo Tagliente durante
l'irruzione a via Gradoli, dei quali Marrazzo diede notizia
alla banca per "evitarne la commercializzazione o la
possibilità di favorire i suoi 'aguzzini'" con quelle somme.
I carabinieri. Ma se i giudici del Palazzaccio assolvono l'ex
presidente del Lazio, nei confronti dei carabinieri implicati
nella vicenda il giudizio è durissimo. Ai militari che tesero
l'imboscata ai danni di Piero Marrazzo, filmandolo, per
ricattarlo, mentre si intratteneva con la trans Natalì,
erano "ben note le sue debolezze" tanto che facendo leva su
queste organizzarono, ai danni dell'uomo politico, "un vero e
proprio agguato culminato con l'irruzione nell'abitazione
della trans" ai primi di luglio dello scorso anno. La
Cassazione sconfessa così la tesi dei carabinieri indagati in
base alla quale l'irruzione sarebbe stata fatta "per
verificare la consistenza della notizia confidenziale ricevuta
dall'informatore Gianguarino Cafasso, sullo svolgimento di
festini con droga". La Cassazione aggiunge inoltre - nelle
motivazioni depositate oggi della decisione con la quale lo
scorso 24 febbraio ha confermato le misure cautelari per gli
uomini dell'Arma coinvolti nel ricatto a Marrazzo - di non
credere alla tesi che i carabinieri implicati non sapevano chi
avrebbero trovato nell'appartamento di via Gradoli.
In particolare la Cassazione spiega che il fatto che si trattò
di un blitz preordinato "è attestato non solo da quanto
dichiarato da Natalie e dal Marrazzo, della cui complessiva
attendibilità giustamente il tribunale non ha dubitato, ma
anche, e soprattutto, dalla condotta tenuta dai due
carabinieri durante l'irruzione nell'abitazione e nei giorni
successivi, certamente non riconducibile a quanto ci si
aspetterebbe da rappresentanti delle forze dell'ordine
impegnati in compiti di istituto". In proposito la
Cassazione - con la sentenza 15082, che conferma l'impianto
accusatorio ricostruito dalla procura di Roma - osserva che i
carabinieri Luciano Simeone e Carlo Tagliente non avevano
verbalizzato il loro intervento, né informato i superiori, né
sequestrato lo stupefacente rinvenuto nell'abitazione, né
proceduto alla perquisizione dell'appartamento. Risulta
invece - prosegue la suprema Corte - che "essi, o eventuali
complici introdottosi con loro nell'appartamento, hanno
eseguito delle significative riprese video del Marrazzo in
atteggiamento certamente compromettente, specie per un uomo
che ricopriva un importante ruolo istituzionale; riprese le
cui finalità non erano certo quelle di assicurare, a fini di
giustizia, le tracce di reati, o di individuare i colpevoli di
condotte delittuose, ma solo di registrare situazioni scabrose
per ottenere indebiti vantaggi".
Inoltre i carabinieri Luciano Simeone e Carlo Tagliente -
nell'irruzione a via Gradoli dove lo scorso luglio sorpresero
Piero Marrazzo con la trans Natalì - "hanno impedito a
Marrazzo di tirarsi su i pantaloni" perché "la ripresa in
mutande aveva, evidentemente, per i fini perseguiti dagli
indagati, ben maggiore effetto e ben altro valore, così ben
altro valore avrebbe avuto la 'scena del crimine' se fosse
stata opportunamente 'condita' dalla presenza di droga". La
Cassazione rileva che vi fu una "accurata preparazione di
quella scena, che prevedeva non solo la presenza della droga
ma anche, nello stesso tavolino, accanto al piatto che la
conteneva, della tessera personale della vittima, affinché non
vi fossero dubbi sulla identificazione del personaggio" al
quale non si voleva "dare scampo".
La progettazione della 'scena' messa in atto a via Gradoli -
aggiunge la Cassazione - era "chiaramente protesa a non dar
scampo al Marrazzo, a renderlo vulnerabile e disponibile a
soddisfare ogni possibile richiesta di denaro o altri favori".
Obiettivo del video era quello di "confezionare un
documento 'appetito' dalla stampa scandalistica, e dunque
proficuamente commerciabile". Per la Cassazione si tratta di
una vicenda "complessa e torbida" nella quale emergono le
esigenze cautelari nei confronti dei carabinieri indagati -
tra i quali anche Antonio Tamburrino e Nicola Testini,
quest'ultimo con responsabilità che si 'appesantiscono' - non
solo per la "preoccupante gravità dei fatti" ma anche "per il
grave rischio di inquinamento probatorio" in quanto le
indagini vengono eseguite "in ambienti facilmente
influenzabili ed esposti ad intimidazioni e condizionamenti".
Il riferimento è anche alla condizione di clandestinità dei
trans coinvolti nella vicenda.
"Media senza colpa". Non c'è alcuna responsabilità, da parte
dell'agenzia Masi e, tra gli altri, del fotografo Massimiliano
Scarfone, per quanto riguarda il tentativo di vendita del
video, sottolinea la Cassazione, sconfessando anche questa
parte della tesi dei carabinieri. Secondo i militari, le
dichiarazioni delle persone alle quali gli uomini dell'arma
implicati nella vicenda si sono rivolti nel tentativo di
vendere quelle immagini sarebbero inutilizzabili in quanto
quelle stesse persone dovrebbero rispondere di ricettazione.
Spiega invece la suprema Corte che l'acquisto del video "non
si è mai concretizzato" e i "possibili acquirenti" ne
sospettavano la legittima provenienza e avevano acquisito il
parere di un legale.
In particolare, la suprema Corte conferma che sono pienamente
utilizzabili le dichiarazioni accusatorie rese da Massimiliano
Scarfone, Domenico Masi, Carmen Pezzuti e Marco Cinquegrana,
contattati dai carabinieri per vendere il video, in quanto non
sono indagati, né indagabili, per ricettazione. Il loro ruolo
è solo quello di "testi" che hanno fatto "riferimento alle
proposte di acquisto del filmato dichiarando di esserne stati
interessati" e di aver esaminato quella proposta di
acquisto "proprio a causa del dubbio sulla legittima
provenienza del filmato" con la verifica della sua provenienza
e con l'acquisizione del parere di un legale, "al fine di
verificare la legittimità dell'operazione". Questa
circostanza, conclude in proposito la Cassazione, "consente di
escludere l'intenzione dei soggetti di procedere, comunque,
anche in violazione di precise norme di legge, all'acquisto
del video, peraltro mai concretizzato".
Marrazzo. "Ho sempre atteso con serenità le decisioni dei
giudici, a loro avevo raccontato la verità e la verità è che
io ero la vittima in questa vicenda", dice Piero
Marrazzo. "Ora ci sarà il tempo e il modo, con calma e nel
rispetto della giustizia e degli investigatori di raccontare
questa verità", concluso l'ex presidente.
(19 aprile 2010) © Riproduzione riservata
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E-S °¿°
Ho plonkato tutti quelli che postano da Google Groups!
Qui è Usenet, non è il Web!
Praticamente Marrazzo e' un mezzo frocio cocainomane, e i carabbbinieri dei farabutti che ricattano i froci.
Bene, lavorano per noi, cocainomani froci in RAI, farabutti nei carabbbinieri.